Un patto al femminile per il post Covid (Giuseppe Tognon)
Molti proclamano che dopo la pandemia il mondo non sarà più lo stesso e che si apre la strada per grandi cambiamenti positivi. La maggioranza di noi credo tema invece che la vita diventerà più dura, che monteranno l’egoismo e la rabbia e che i più deboli lo diventeranno ancora di più. È meglio non sognare ad occhi aperti e concentrarsi sulla vita di tutti i giorni, senza attendere salvatori che non esistono. Nella prefigurazione di un nuovo mondo post Covid non basterà cambiare il lavoro, che spesso non c’è, ma occorrerà lavorare molto sulle reti sociali che veramente contano, in particolare quelle familiari. Che cosa sia successo davvero nei mesi di quarantena all’interno dei nuclei familiari non lo sappiamo ancora, ma è certo che non saranno state sempre rose e fiori. L’Italia non è tutta come il Trentino, con case belle, giardino, orti e natura. E dove i rapporti familiari sono tesi non c’è spazio o verde che tenga. Ma c’è una risorsa su cui puntare, le donne, e non solo perché sono la maggioranza. A qualche femminista parrà improprio che lo scriva un uomo, ma il tema è così importante che non importa chi lo solleva. La parte femminile dell’umanità è oggi la più adatta ad un cambiamento sostanziale nei modelli di vita. Le donne sanno che cosa è il precariato e hanno da secoli praticato il multitasking, cioè la capacità di pensare e realizzare molte cose insieme. Nel corso dei secoli hanno elaborato un’idea della “differenza” che non è legata solo al sesso o alla forza, ma piuttosto alla cura e alla ricucitura dei rapporti. La condizione femminile è diventata anche il modello di riferimento per le minoranze emarginate. La nostra cultura occidentale ha invece costruito un’idea dei santi e degli eroi prevalentemente al maschile. Le donne hanno sempre contato molto nella storia, ma la storia le ha ripagate con la strategia di dividerle. Si dice, ad esempio, che accanto ad un grande uomo c’è sempre una grande donna, ma anche questo riconoscimento è funzionale a dividere le donne segregandole in ruoli importanti ma subalterni. I miti e la letteratura sono pieni di singole donne esemplari che però nascondono il “collettivo” femminile. Eppure, molte guerre, molte faide familiari, molte lotte per impossessarsi dei corpi, sono terminate anche perché un collettivo di donne ha detto basta e si è rifiutato di seppellire i morti, di alimentare i rancori, di subire violenze. Questa pandemia è dunque l’occasione per dare spazio all’idea che il femminile non è solo un genere, ma una qualità preziosa dell’umano. Non si risolverà la crisi demografica, non si cambierà la famiglia, la scuola, il modo di produrre e di consumare, se le donne non lo vorranno. Ma non basta contare sul femminismo e sulle sacrosante battaglie per i diritti delle donne. Non bastano le quote rosa perché i diritti fondati soltanto sulle norme lasciano spesso il tempo che trovano. Occorre piuttosto una scommessa sul protagonismo femminile come esempio di intelligenza di vita. Anche nella politica bisognerebbe avere il coraggio di consultare di più le donne e su alcune questioni si potrebbe considerare vincolante l’opinione femminile. Nella Chiesa, che è una istituzione molto stanca, si dovrebbe puntare sul diaconato femminile con maggior coraggio. Se non stiamo vivendo solo una epidemia, ma una malattia delle relazioni interpersonali, possiamo imparare dalle donne anche a costruire forme migliori di organizzazione sociale. La crisi italiana ci sprona ad aiutarci reciprocamente, a firmare un nuovo patto tra noi, in prima persona, nella vita quotidiana.
L’Adige 14 maggio 2020