75 anni fa e oggi. Storia, patria, virus (Giuseppe Tognon)
Quest’anno il 25 aprile, data che celebra la liberazione dal nazifascismo e la fine della guerra, cade in un momento mai vissuto prima durante gli ultimi settantacinque anni. Proprio per questo bisogna avere il senso delle cose e non confondere storia e natura. Oggi ci difendiamo da un virus terribile, ma non più di tanti altri prima. Solo che ce lo eravamo dimenticati, facendo finta di essere i padroni della terra. I suoi effetti ci appaiono più tragici perché con la scienza e la fatica avevamo creduto di dominare ogni fatto naturale o quasi. Venticinque anni fa invece festeggiavamo una liberazione voluta e cercata da donne e uomini che avevano combattuto ed erano morti per un’idea di libertà e di democrazia. Allora fu il trionfo degli ideali, oggi è il trionfo dell’ansia e della paura e il fallimento dell’illusione che basta essere un più ricchi per essere più felici.
Sotto i colpi del virus siamo solo donne e uomini preoccupati e isolati: quel 25 aprile 1945 eravamo anche «italiani» che sfilavano, che volevano aprire una nuova pagina di storia. Oggi ci difendiamo dall’ignoto e stiamo chiusi in casa; allora combattevamo qualche cosa di noto e di terribile, il nazifascismo; allora festeggiavamo la fine di venti anni di regime, oggi aspettiamo il miracolo di un vaccino. I due modi di essere devono diventare uno solo: non c’è scienza o ricchezza che possa sostituirsi agli ideali e all’amore per la patria; non c’è isolamento che possa soffocare gli ideali e la fede.
Quel 25 aprile 1945 ci indica anche una prospettiva che oggi con la pandemia non vediamo ancora chiara: la ricostruzione su basi nuove dell’Italia e dell’Europa, se quest’ultima non sarà distrutta dal virus del nazionalismo. Allora, per almeno tre anni, tutte le forze politiche – cattolici, comunisti, socialisti, liberali e azionisti- lavorarono insieme per preparare la Ricostruzione, decidere la Repubblica, adottare la Costituzione. La domanda è se saremo capaci oggi di ritrovare quella fede e quell’unità, di ritrovare cioè un’idea sobria e reale di Paese, senza sotterfugi e senza proclami. Anche allora piangevamo i morti, ma bisognava farsi coraggio pubblicamente per ricominciare a vivere. Il 25 aprile è stato un momento di liberazione ma anche di pacificazione. Tutti i morti della Resistenza, che fu anche una guerra civile, sono da piangere, ma la pietà per ogni vittima – anche del virus – non può nascondere il valore delle scelte politiche, perché sono le scelte che si tramandano, non i corpi. Oggi ricordiamo, senza fanfare ed anzi preoccupati per i tanti errori commessi, chi aveva scelto la libertà e la democrazia e che aveva permesso a tutti, anche a chi aveva scatenato la guerra e umiliato le libertà, di continuare a fare parte dell’unica Italia e di lavorare per quel «compito magnifico» che per De Gasperi era la ricostruzione democratica del paese.
L’Adige 25 aprile 2020